*Abd al-Jabbār ibn Muhammad ibn Hamdīs *
in arabo
عبد الجبار بن أبي بكر بن محمد بن حمديس الأزدي الصقلي أبو محمد
(Siracusa 1056 circa - Maiorca 1133)
fu un poeta arabo-siciliano
massimo esponente della poesia araba di Sicilia tra l'XI e il XII secolo.
Nel fior della gioventù fui destinato a viver lungi [ di casa mia ] quando
quella [ felice età] fosse declinata e scomparsa.
Il poeta arabo-siculo fu costretto a lasciare quella che per lui era la sua patria, la Sicilia.
Dopo la conquista normanna della città (1078) si rifugiò a Siviglia, presso un amico, dove scrisse fra l'altro dei versi pieni di nostalgia per il suo paradiso perduto:
Con nostalgia filiale anelo alla patria, verso cui mi attirano le dimore delle belle sue donne.
E chi ha lasciato l’anima a vestigio di una dimora, a quella brama col corpo fare ritorno….
Viva quella terra popolata e colta, vivano anche in lei le tracce e le rovine!
Io anelo alla mia terra, nella cui polvere si son consumate le membra e le ossa dei miei avi.
Le sollecitudini della canizie bandiscono l'allegria della gioventù. Ahi! la canizie abbuia[l'animo] quand'essa risplende!
Nel fior della gioventù fui destinato a viver lungi [di casa mia] quando quella [felice età] fosse declinata e scomparsa.
Conosci tu alcun conforto della [perduta]gioventù? [Dimmelo], perché chi sente il malore brama la medicina.
Vestirò forse la canizie col nero del hidàb; metterò su l'aurora la notte per coperchio?
Un legger venticello, fiato di fresca brezza, soffia soave e mormora:
A notte ella mosse, guidata da balenii che fean piangere il cielo su' morti [distesi] in terra.
Udiasi la voce del tuono che cacciava le nubi, come il camelo quando sgrida col muggito le sue femmine restie.
Ardeano i lampi d'ambo i fianchi di essa: era il luccicar delle spade sguizzanti fuor dal fodero.
Passai la notte nelle tenebre. O primo albore [io dicea] recami la luce!
O vento, quando apporti la pioggia a ricreare i campi assetati,
Spingi verso di me i nugoli asciutti, ch'io li saturi col pianto mio!
Bagni il mio pianto quel terreno dove passai la giovinezza: ah, che nella sventura sia sempre irrorato di lacrime!
O vento, che tu corra presso alle nubi, o che te ne scosti, non lasciar, no, che asseti certa collina del caro paese!
La conosci tu? Se no, [sappi] che l'ardor del sole vi fa olezzare i [verdi] rami.
Qual meraviglia? In que' luoghi gli intelletti d'amore impregnan l'aria di lor profumi.
Lì batte un cuore sì pieno [d'affetto], ch'io v'ho attinto tutto il sangue che mi corre nelle vene.
A quelle piagge riedon sempre furtivi i miei pensieri, come il lupo ritorna [sempre] a sua boscaglia.
Quivi fui compagno dei lioni che correano alla foresta: quivi andai a trovar le gazzelle in lor covile.
Dietro a te, o mare, è il mio paradiso: quello in cui vissi tra' gaudii, non tra le sventure!
Vidi lì spuntar l'aurora [della] mia [ vita] ed or, a sera, tu me ne vieti il soggiorno!
O perché mi fu tolto ciò ch'io bramava, quando il pelago mi separò da quelle piagge?
Avrei montata, invece di palischermo, la falcata luna, per arrivar a stringermi al petto il [mio] Sole!
Guarda la bellezza della luna nuova che spunta
e squarcia con il suo lume le tenebre
Sembra una falce tutta d'oro che miete il narciso
tra i fiori dei giardini.
Una meravigliosa e struggente poesia del poeta siciliano-arabo
che piange la sua Sicilia
Sicilia mia. Disperato dolore
si rinnova per te nella memoria
Giovinezza. Rivedo le felici follie perdute
e gli amici splendidi
Oh paradiso da cui fui cacciato!
Che vale ricordare il tuo fulgore?
Mie lacrime. Se troppo non sapeste di amaro formereste ora i suoi fiumi
Risi d'amore a vent'anni sventato a sessanta ne grido sotto il peso
Ma tu non aggravare le mie colpe
Se l'Iddio tuo già concesse il perdono
In alto la penombra si dirada
agitata dai veli della luce
ma questa luce è un modo del distruggersi
manda luce chi perde la sua vita.
Al di là di te, o mare, ho un paradiso di cui
io vestii la delizia, non la sventura.
Vino di colore e odor di rosa, mescolato all'acqua
ti mostra stelle fra raggi di sole.
Con esso cacciai le cure dell'animo
con una bevuta il cui ardore serpeggia sottile
quasi inavvertibile.
L'argentea mia mano, stringendo il bicchiere,
ne ritrae le cinque dita dorate.
Ma come sperar una tinta che duri,
se non ho trovato [il modo]
di far durare la
gioventù?
Ci affascinano le belle che muovono gli occhi
di gazzella in visi rotondi come lune.
Dalle chiome fluenti, dall'incedere aggraziato,
dai glutei pieni, dalla vita sottile.
La fresca giovinezza
profuma la loro bocca dalle labbra di corallo,
dai denti di perla,
come quando lo zefiro, impregnato di abir,
scorre sulla rosa e sulla camomilla.
Sembrano perfezioni, ma risplendono
soltanto agli occhi tuoi: valgono niente;
quanti nemici stanno in un amico
e in quanta quiete si nasconde il ladro!
Quanti cavalli di armoniose forme
non arrivano, deboli, alla meta!
Quanti cammelli, in viaggio, nella notte,
li trattiene il difficile cammino!
Così l'affanno trascina l'amante
dove l'ascesi e l'angoscia si legano:
sventura all'uomo afflitto da ignoranza,
che gli lodano il corpo e non l'ingegno!
È quasi un'ala, a volare, il denaro:
ma già è stroncata, e non rimane un bene:
quanti uomini degni in vile veste!
Si lucida una spada e non la guerra.