Papusza
la più grande poetessa zingara polacca.
Zingarella povera, giovane
bella come un mirtillo,
denti bianchi come perle,
occhi brillanti come l’oro vero.
Gli orecchini fatti di foglie, eccoli
Come oro genuino son belli.
Non sono una poetessa, sono solo una zingara
del bosco, che vive di natura...Sono
felice quando
sento cantare le ruote, quando sento
la pioggia
che batte sul carro...questa è la mia
musica a volte
le parole stesse lo diventano.
Papusza
Canzone
Tra molti anni,
o forse non molti, prima,
le tue mani il mio canto ritroveranno.
Quando è nato?
Di giorno, o nel sonno?
E ricorderai, e mi penserai –
è stata una favola,
o era tutto vero?
E i miei canti
e tutto il resto
dimenticherai.
“Il mio patrigno era un ubriacone e un giocatore d’azzardo, mentre mia madre non sapeva cosa significasse leggere o scrivere nè cosa una bambina dovesse imparare. E allora come ho imparato? Chiedendo ai bambini che andavano a scuola di mostrarmi come scrivere le lettere. Rubavo sempre qualcosa e gliela portavo così poi loro mi insegnavano in cambio. Ed è così che ho imparato le lettere a, b, c, d e così via.” Papusza
Guardo qui, guardo là
Guardo qui, guardo là –
tutto ondeggia! Il mondo ride!
Un mare di stelle di notte!
Ciarlano, ammiccano, brillano.
Le stelle! Chi le comprende
di notte non vuole prender sonno,
osserva la chiara Via Lattea,
sa che è una via felice,
che chiama verso luoghi buoni.
Guardo qui, guardo là –
la luna si lava nelle calde acque,
come giovane Zingarella
nel ruscello del bosco.
Che sta mai succedendo?
Tutto ondeggia.
Il mondo ride.
Lacrime di sangue
Nel bosco. Niente acqua, né fuoco. Grande la fame.
Dove avrebbero potuto dormire i bimbi? Non c’era tenda.
Non avremmo potuto accendere il fuoco la notte.
Di giorno, il fumo avrebbe avvisato i tedeschi.
Come vivere con dei bimbi nel freddo dell’inverno?
Tutti sono scalzi…
Quando decisero di ucciderci per prima cosa ci costrinsero ai lavori
forzati.
Un tedesco venne a trovarci:
Ho cattive notizie per voi. Vogliono uccidervi stanotte.
Non ditelo a nessuno. Sono anch’io uno scuro zingaro,
del vostro sangue – dico la verità.
Dio vi aiuti nella nera foresta.
Dette queste parole ci abbracciò tutti…
Niente cibo per due tre giorni.
Tutti a dormire affamati.
Non riuscendo a dormire fissavano le stelle.
Dio, quanto è bello vivere!
I tedeschi non ce lo permetteranno.
Ah, tu, mia piccola stella! All’alba tu sei grande!
Abbaglia i tedeschi! Confondili,
portali fuori strada
così i bambini ebrei e zingari potranno vivere!
Quando arriverà il grande inverno,
cosa farà la zingara con il suo bimbetto?
Dove troverà dei vestiti? Sono tutti diventati stracci.
Uno vuole morire.
Nessuno sa, solo il cielo, solo il fiume ascolta il nostro lamento.
Gli occhi di chi ci videro come nemici?
La bocca di chi ci maledisse?
Non ascoltarli, Dio
Ascolta noi!
Giunse una notte fredda, le vecchie zingare cantarono
una fiaba zingara: verrà un biondo inverno
neve, come piccole stelle, coprirà la terra e le mani.
Gli occhi neri geleranno i cuori moriranno.
Tanta neve cadde che coprì la strada.
Avresti potuto vedere solo la Via Lattea nel cielo.
In questa notta gelida una piccola figlia muore,
e in quattro giorni le madri seppelliscono nella neve
quattro piccoli figli.
Sole, senza di te guarda che piccolo zingaro sta morendo di freddo
nella grande foresta.
Una volta, a casa, la luna restava nella finestra,
non mi lasciava dormire. Qualcuno guardò dentro.
Chiesi – chi è?
– Apri la porta, mia bruna zingara.
Vidi una bella ragazza ebrea,
che tremava di freddo e cercava da mangiare.
Povera creatura, piccola mia.
Le ho dato del pane, quello che avevo, una camicia.
Dimenticammo entrambe che non lontano c’era la polizia.
Ma non vennero quella notte.
Tutti gli uccelli stanno pregando per i nostri bimbi,
così la gente cattiva, le vipere, non li uccideranno.
Ah, destino! Sventurata ventura
La neve cadde fitta come foglie, ci sbarrò la strada,
una neve così pesante seppellì le ruote dei carri.
Qualcuno dovette battere a piedi una pista,
spingere i carri dietro i cavalli.
Quanta miseria e fame!
Quanti affanni, quante strade!
Quante pietre aguzze hanno ferito i nostri piedi!
Quanti proiettili hanno sfiorato le nostre orecchie!
"Lacrime di sangue”, la poesia più famosa di Papusza, descrive ciò che ha subito il suo popolo per mano dei soldati tedeschi a Volyn nel 1943 e 1944. Racconta dei mesi difficili durante i quali i Rom si nascosero nei boschi per sfuggire alla persecuzione dei soldati nazisti. Come tutte le poesie di Papusza, anche questa ha un carattere autobiografico.
Bronisława Wajs – detta Papusza, poetessa dimenticata, incompresa e sconosciuta, è stata riscoperta nel 2013 grazie alla pubblicazione della sua storia scritta dalla giornalista Angelika Kuźniak e intitolata Papusza. In più il film scritto e diretto da Joanna Kos-Krauze e di Krzysztof Krauze “Papusza” ha fatto riscoprire l’eccezionalità di quest’artista così insolita.