ALEKSANDR PUSKIN
poesie
IL PRIGIONIERO (1862)
Siedo nella prigione dietro la grata.
Giovane aquila nel servaggio allevata,
La mia triste compagna batte senza tregua
Le ali e becca la sanguinante preda,
Becca, e getta, e guarda alla finestra,
Quasi pensasse: «Una cosa sola resta»
Il suo sguardo chiama e sembra che un grido dia
E voglia dire: «Voliamo via! Voliamo via!
Siamo liberi uccelli, fratello, è ora di andare!
Là, dove azzurreggiano i paesi sul mare,
Là, dietro le nubi, dov’è il monte natio,
Là, dove voliamo soltanto il vento… ed io!..»
CANTO BACCHICO (1825)
Perché è cessata la voce della gioia?
Orsù, intonate di Bacco i canti!
Viva le leggiadre baccanti
E le mogli che ci hanno amato!
Il bicchiere orsù colmate!
Nel fondo risonante
Nel vino inebriante
I cari anelli gettate!
I calici alziamo ed accostiamo!
Viva le muse, alla ragione brindiamo!
Tu, sacro sole, risplendi!
Come questa lampada impallidisce
Davanti all’alba che sorge,
Così la falsa saggezza marcisce
Davanti al sole immortale della mente.
Viva il sole, finisca la notte finalmente!
LE TRE FONTI ( 1827)
Nella steppa del mondo, triste e sconfinata,
Sgorgarono tre fonti come d’incanto:
Della giovinezza – rapida e ribelle –
Ribolle, corre, brillando e gorgogliando;
La fonte di Castalia che con l’ispirazione
Nella steppa del mondo gli esuli disseta;
L’ultima fonte – la fredda fonte dell’oblio,
Che più di tutte placa la febbre del poeta.
IL RICORDO (1828)
Quando per un mortale il fragore
Del giorno cessa e sulla muta città
L’ombra traslucida della notte
E il sonno che ristora scende già,
Allora per me s’insinua nel silenzio
Il tempo del penoso vegliare:
E nell’inerzia notturna, della serpe
Del cuore sento i morsi bruciare.
I sogni fervono e da gravi pensieri
E’ oppressa allora la mia mente.
Il tacito ricordo davanti a me
Il suo lungo rotolo distende,
E con disgusto leggendo la mia vita,
Amaramente piango e mi deprimo,
Amaramente tremo e maledico,
Ma i tristi versi non sopprimo.
L’ADDIO (1829)
Il tuo volto una volta ancora
Con la mente oso carezzare,
In sogno con la forza del cuore,
Con diletto triste esitante,
Il tuo amore per me ricordare.
Il nostro tempo fugge via
Tutto muta e porta via con sé,
Per il tuo poeta, diletta mia,
Di tenebra tu sei già vestita,
E anche il poeta è morto per te.
Accogli dunque, amica lontana,
L’addio del mio cuore attristato.
Come sposa che vedova rimane,
Come amico che abbraccia in silenzio
Un amico che viene esiliato.
DI VOI M'INNAMORAI (1829)
Di voi mi innamorai, e questo amore puro
nell’alma mia ancor si potrebbe ridestare;
scordatemi, non vi inquieterò, lo giuro,
non voglio niente che vi possa rattristare.
Tacevo, senza speme, infatuato,
ero geloso, ero timido e soffrivo,
il mio amore fu sì tenero e ignorato:
Iddio vi faccia amare come vi ho amato io.
ELEGIA (1830)
Sopita l’allegria degli anni folli,
sento un peso, come dopo l’ebbrezza.
Come un buon vino, il rimpianto dei giorni passati,
nell’anima mia, più invecchia, più forte diventa.
Triste il mio cammino.
Il mare tempestoso promette futura fatica e dolore.
Ma non voglio lasciarmi morire, amici miei,
voglio vivere, per pensare e soffrire;
prevedo delizie miste a dolori, ansie e affanni:
ancora mi potrò ubriacare di armonie,
ancora mi scioglierò in lacrime per delle fantasie,
e, forse, al mio triste tramonto
brillerà un amore con il sorriso del commiato.
SONETTO (1830)
L’austero Dante non sdegnava il sonetto;
Petrarca in esso versava il suo amore;
Amava giocarci il creatore di Macbeth;
Con esso Camöes cantava il dolore.
Ancora oggi il poeta incanta:
Wordsworth a strumento lo sceglieva,
Quando dal vano mondo lontano
La natura e il suo ideale descriveva.
All’ombra dei Tauridi distante
Il vate lituano i sogni all’istante
Nella sua stretta cornice imprigionava.
Da noi era ancora ignoto alle dame,
Quando per esso già Del’vig lasciava
Dell’esametro l’arie consacrate.