Dolce e chiara è la notte e senza vento, e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti posa la luna, e di lontan rivela serena ogni montagna.
LA SERA DEL DI' DI FESTA
Giacomo Leopardi
Dolce e chiara è la notte e senza vento, e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti posa la luna, e di lontan rivela serena ogni montagna. O donna mia, già tace ogni sentiero, e pei balconi rara traluce la notturna lampa: tu dormi, ché t'accolse agevol sonno nelle tue chete stanze; e non ti morde cura nessuna; e già non sai né pensi quanta piaga m'apristi in mezzo al petto.
Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno appare in vista, a salutar m'affaccio, e l'antica natura onnipossente, che mi fece all'affanno. – A te la speme nego, mi disse, anche la speme; e d'altro non brillin gli occhi tuoi se non di pianto. - Questo dì fu solenne; or da' trastulli prendi riposo; e forse ti rimembra in sogno a quanti oggi piacesti, e quanti piacquero a te: non io, non già ch'io speri, al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo quanto a viver mi resti, e qui per terra mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi in così verde etate! Ahi, per la via odo non lunghe il solitario canto dell'artigian, che riede a tarda notte, dopo i sollazzi, al suo povero ostello; e fieramente mi stringe il core, a pensar come tutto al mondo passa, e quasi orma non lascia. Ecco è fuggito il dì festivo, ed al festivo il giorno volgar succede, e se ne porta il tempo ogni umano accidente. Or dov'è il suono di que' popoli antichi? Or dov'è il grido de' nostri avi famosi, e il grande impero di quella Roma, e l'armi e il fragorìo che n'andò per la terra e l'oceàno? Tutto è pace e silenzio, e tutto posa il mondo, e più di lor non si ragiona.
Nella mia prima età, quando s'aspetta bramosamente il dì festivo, or poscia ch'egli era spento, io doloroso, in veglia, premea le piume; ed alla tarda notte un canto che s'udia per li sentieri lontanando morire a poco a poco già similmente mi stringeva il core.
Ho due lenzuola vecchie di vent’anni e una federa a fiori che tengo in casa per gli amici intimi, usandole sempre ma ogni volta pensando e pregando, temendo lo strappo che deve seguire al lavaggio, ogni volta congetturando un utilizzo diversificato dei ritagli come tendina, fazzoletto, come involucro antipolvere, come sacca per le pantofole.
I miei amici non lo sanno che ogni volta un poco tremo a vederli dormire beati nel sudario di un passato solo mio che ogni volta per loro si assottiglia e ogni volta, grazie a loro, mi tortura.
Qualche volta, piano piano, quando la notte si raccoglie sulle nostre fronti e si riempie di silenzio, e non c’è più posto per le parole, e a poco a poco si raddensa una dolcezza intorno come una perla intorno al singolo grano di sabbia, una lettera alla volta pronunciamo un nome amato per comporre la sua figura; allora la notte diventa cielo nella nostra bocca, e il nome amato un pane caldo, spezzato.
Tutti i giardini dovrebbero essere chiusi, con alti muri di un cenere molto pallido, dove una fontana possa cantare sola fra il rosso dei garofani. Ciò che uccide un giardino non è proprio qualcosa come l’assenza neppure l’abbandono… Ciò che uccide un giardino è lo sguardo vuoto di chi lo attraversa indifferente.
La trovarono al mio fianco,
lì dove le sue ali l’avevano guidata.
Gli angeli vennero per portarla via.
Aveva lasciato la loro casa,
il loro giorno più chiaro
ed era venuta ad abitare presso di me.
Mi amava perché l’amore
ama solo le cose imperfette.
Gli angeli vennero dall’alto
e la portarono via da me.
Se la portarono via per sempre
tra le ali luminose.
É vero che era la loro sorella
e così vicina a Dio come loro.
Ma mi amava perché
il mio cuore non aveva una sorella.
Se la portarono via,
ed è tutto quel che accadde.
--- La pittura è una poesia che si vede e non si sente,
e la poesia è una pittura che si sente e non si vede.
(Leonardo da Vinci)
Sul mio cuore, poesia, cammina lentamente, lenta come l’erica delle paludi, come un uccello plana sul ghiaccio notturno. Se frangi la crosta di questa mia pena Potresti annegare, poesia.