L’amore ai tempi delle antologie imperiali
Così nacque la poesia giapponese.
Nei secoli passati, quelli dei samurai e delle grandi leggende (794-1185), la mobilità sociale era severamente vietata. Per poter corteggiare una donna, un uomo doveva inviare un poema ben composto che dichiarasse il suo desiderio di conoscere la nobildonna. Questa, a sua volta, rispondeva con un altro poema in modo positivo o negativo e tutto si basava sulla scrittura e nulla di più. Nel caso di mancato interesse da parte della donna, la risposta sarebbe arrivata da una delle sue ancelle se, invece, l’uomo riusciva a fare breccia nel cuore e nella mente della dama, allora rispondeva di suo pugno, su carta elegante e con i migliori versi. Ma non era tutto così semplice. Sia gli uomini che le donne venivano giudicati per il loro carattere e intelligenza proprio nel comporre versi.
Se facessimo un parallelismo con i nostri giorni ci sarebbe da esclamare "come sono cambiati i tempi!"
"Su questa montagna autunnale,
turbinio di foglie gialle
Canta un cuculo
sulla vetta di una montagna,
ove sboccia mesto il fiore di deutzia.
Provi, forse, rancore verso di me,
amor mio che non ti degni di visitarmi?"
"Più che ricordare
con il profumo dei fiori
vorrei ascoltare il cuculo
per vedere se la sua voce
è uguale a quella che conosco."
"Durante tutta la notte
a chi mai potevo pensare
mentre ascoltavo
il rumore della pioggia
che batteva sulla finestra?"
"Notte dopo notte
senza chiudere occhio
vi penso e mi chiedo
se il mio cuore è venuto
a svegliarvi."
"Se mi desiderate così tanto,
venite allora a trovarmi.
La strada dell’amore
non è certo interdetta
dalle divinità impetuose."